Blair si presenta

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Fabio Zingone
00venerdì 20 agosto 2004 11:32
Fine allenamento, palestra secondaria del Palalido. Il gruppo comandato da Lardo si ritrova a centro parquet per farsi gli applausi, il primo piccolo rito della nuova Armani Jeans. Poi sulla scena rimane solo il totem coi riccioli a fare i numeri: pallone dietro la schiena, sotto le gambe, gomiti, schiena, anca, mani tra i capelli, dorso della mano, palmo e ancora via. «Giochetti imparati ai tempi degli Harlem Globetrotters. È lì che ho imparato la passione per il basket, vedevo la gente sorridere, le famiglie che venivano a vederci, come adesso non succede nemmeno in Nba. Ed è questo che faremo a Milano: io quando scendo in campo voglio madre, padre, fratello, sorella che vengono, e poi i parenti, gli amici. Abbiamo l´opportunità di dare il cuore per qualcosa che più grande di noi, il gioco e l´Olimpia».
Joseph Blair si presenta a modo suo. Straripante, coinvolgente, affabulatore col suo italiano studiato a Biella («Dove l´ho imparato? È che sono molto intelligente...») strascicato con l´accento texano, in forma con la lingua se non ancora con un fisico da asciugare. Se vorrà, Dan Peterson ha già un erede ai microfoni. Joseph («o JB, non Joe») è un predicatore innato, apostolo istrione prestato allo sport, venditore di emozioni. Vendesse tostapane usati, li comprereste lo stesso. «La pallacanestro è la mia vita - argomenta - tutto gira intorno al gioco, per migliorarmi. A me piace proprio giocare, non è mai stato un lavoro». Per il gioco ha anche modificato le sue abitudini alimentari, diventando vegetariano. «È una cosa dei tempi dell´università, ad Arizona. Ero molto pigro, poi finii i soldi e cominciai a comprare quello che puoi permetterti quando sei al verde, riso, pasta. Lì ho capito che se vuoi migliorare e star bene devi stare attento alla tua alimentazione. È la mia fede, io penso sempre positivo, tutti lo dovrebbero fare».
Sa già dov´è arrivato Blair. Nell´Armani cugina di Milan e Inter che torna a pensare in grande e che proprio a San Siro si presenterà il 28 agosto, prima del Trofeo Berlusconi (con gli abbonamenti del basket in vendita in biglietteria sud). E Joseph, pagato una fortuna da Corbelli pur di averlo in squadra, avrà sulle spalle il compito del trascinatore di folle. «Mi piace avere questo ruolo. Mi piace applicarmi, urlare, dare il cinque. Ci metto sangue, sudore, lacrime. Sono pazzo, lo sapete. E voglio scaldare la gente, riaffezionarla all´Olimpia. Ho seguito la sua storia negli ultimi sei anni, fatta di su e giù, soprattutto di giù. Ma adesso abbiamo il calcio, abbiamo Armani, un grande allenatore, una grande città, sono tornato in Italia, cosa volete di più?». Il bello è che lo pensa, le sue non sono formule di marketing studiate al master. L´uomo è in missione e crede già ciecamente ai suoi compagni di viaggio. «Possiamo fare qualcosa di importante - spiega Blair - un gruppo equilibrato, giovani ed esperti. Abbiamo tiratori come Calabria, l´energia incredibile di Singleton, Fajardo che è capace di giocare in tutte le zone del campo, Jerry McCullough che spinge il gioco come pochi in Europa. Coldebella lo conosco dai tempi del Paok Salonicco. Io vengo qui con tutto il cuore, la passione, l´energia che ho. Le avversarie? Siena è la squadra da battere, Roma si è rinforzata, la Benetton è una scommessa, la Fortitudo è sempre lì. Dovremo darci davvero dentro».
Fa una pausa, ansima sdraiato sul parquet. «Il fuso orario mi sta ammazzando». Mostra i suoi tredici tatuaggi. «Ognuno ha una storia, non ti basterebbe il giornale per scriverle tutte». Rivendica con orgoglio le sue origini, il suo Texas («un cinturone da cowboy è il mio portafortuna») anche se Joseph è nativo di Akron, Ohio, stesso borgo dell´ultimo fenomeno dell´iperspazio Nba, LeBron James. Poi riparte: «Ho sempre pensato che la squadra non è solo sul parquet. È anche in tribuna, tra la gente, noi riceviamo la loro energia. Si vince insieme. Mi sto già immaginando di là sul campo, un mio rimbalzo, contropiede nostro, Singleton schiaccia e il palazzo esplode». Vola già, con la mente, Joseph Blair.
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