Mc Pherson's story

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1moldu4
00giovedì 17 novembre 2005 15:32
Ha il corpo che sembra una carta geografica. Undici tatuaggi, praticamente il riassunto della sua vita. “Me against the world”, “Only the strong survive”, e poi un pallone da basket, il salmo 23 della Bibbia sulla gamba destra, l’ideogramma cinese col nome di suo fratello Tywon sull’avambraccio destro, e a sinistra, sempre in cinese la scritta “riposa in pace”. Riposa in pace perché Tywon McPherson, una sera d’estate, è morto a Chicago, freddato su un playground all’età di vent’anni. Troppo pochi per morire così, per caso, vittima di due killer che stanno passando in macchina lì vicino e si mettono a sparare all’impazzata contro una banda rivale. Siamo a Chicago, “the wind city”, in un quartiere dove la famiglia McPherson vive. Certe zone sono pericolose, gente col grilletto facile che si batte per il controllo della droga e per gestire traffici illeciti. Paul McPherson e suo fratello insieme ad altri sei ragazzi stanno giocando a basket aspettando l’ora di cena. «Erano le otto - dice l’americano sbarcato a Livorno, il campo costeggiava una strada. A un certo punto passa una macchina, rallenta, e due uomini cominciano a fare fuoco. Tutti cerchiamo riparo dove possibile, ma non facciamo in tempo a evitare i proiettili. Mio fratello, colpito a una spalla, cade e muore sotto i miei occhi. Un ricordo terribile. Aveva vent’anni, uno solo più di me. Lui non giocava a basket, non sognava una carriera da professionista nella NBA. Si divertiva e basta perché i playground con i canestri da noi sono in ogni quartiere, invece è morto per sbaglio. Noi abbiamo avuto solo la sfortuna di vivere in una zona pericolosa. Perché Chicago è bella, ma ci sono dei luoghi dove anche per strada, e in pieno giorno, ti può capitare qualunque cosa».
Anche di morire, e di segnare per sempre la vita di una famiglia. «Mia madre - continua Paul McPherson - ha pianto tanto, e ancora oggi a otto anni di distanza non sa darsi pace».
C’erano due figli in casa McPherson. Ora resta soltanto Paul, che appena ha cominciato a guadagnare un po’ di dollari giocando a pallacanestro si è allontanato, ha cambiato casa, scegliendo un’area più tranquilla per sé e per la sua compagna Tanneh. Dopo la trafila universitaria (Kennedy-King Junior college a Chicago, poi la prestigiosa DePaul university), un contratto a Phoenix, un altro ai Golden State Warriors, un po’ di leghe minori e poi nel 2004-05 il volo in Italia, a Reggio Emilia. «Devo ringraziarli per avermi dato la chance di giocare da voi, quando venerdì scorso sono tornato dentro il PalaBigi in me non c’era alcun desiderio di vendetta. Volevo soltanto giocare bene, dimostrare che “P-Mac” è un giocatore che può stare in una lega competitiva e difficile come quella italiana. Ora sono a Livorno e qui sto bene. La città mi piace, i compagni anche. Siamo un bel gruppo, tutti amici, dopo un inizio un po’ in salita penso che la vittoria di Roseto ci abbia sbloccato. A Reggio Emilia la squadra ha giocato con più tranquillità, più sicura di sé».
Anche Paul McPherson, aggiungiamo noi. Due bombe nel primo quarto per smentire la sua fama di uomo con la mano ruvida, buono solo quando gioca in campo aperto e può attaccare il ferro, poi tanto lavoro sporco in difesa in attesa di rimettere lo zampino nella vittoria amaranto durante l’ultimo quarto. Due canestri consecutivi da sotto per ricucire il mini-strappo creato dalla tripla di Carra segnata a tempo scaduto, ma giudicata buona dagli arbitri (quella del 62-56), poi una difesa feroce, la sua specialità. 108 chili di muscoli per 1.90 scarsi, polpacci poderosi, la forza di gravità cancellata dal suo personale libro di fisica. Schiaccia da fermo con una facilità disarmante Paul McPherson, e nel ritiro di Maresca una sera a fine allenamento si tolse le scarpe, prese un pallone e disse al coach e ai compagni: «Guardatemi, please». Scalzo, sotto il canestro, con un balzo da fermo affondò uno schiaccione nella retina appoggiando i gomiti sul ferro. Che, per chi non lo sapesse, è alto tre metri e zerocinque. Un gesto atletico spaventoso.
Lo stesso ripetuto venerdì sera a Reggio Emilia, quando Bill Phillips con un’occhiata lo ha visto arrivare e gli ha servito un alley-hoop che “SuperMac”, in volo, ha depositato nell’anello violentando la retina. Roba da entrare nella top ten di Sky tv della settimana. Eravate d’accordo, tu e Bill? «No, ma anche in allenamento, quando siamo in transizione o in contropiede, ci proviamo sempre. Phillips, Troutman, Fantoni e Recker quando mi vedono arrivare in corsa sanno che se vedo partire un passaggio alto io salto, pronto per la schiacciata al volo. La palla di Reggio Emilia non era perfetta, un po’ indietro, ma per me buttarla dentro è stato easy».
Oggi Paul McPherson è una persona felice. Sempre pronto al sorriso, disponibile con gli altri. A Livorno vive con la compagna Tanneh e il figlio Tahj, tre anni. Sono i due prossimi trofei che stamperà sulla sua pelle. «Quando il campionato si fermerà a metà dicembre andrò a Chicago, nel negozio di tatuaggi dove sono già stato le undici volte precedenti, per farmi scrivere i nomi di Tanneh e Tahj. Ho già scelto le zone: gamba e scapola sinistra. Poi a tredici tatuaggi mi fermerò».

33.86
00giovedì 17 novembre 2005 15:32
ma qual è la fonte?
SEOK
00giovedì 17 novembre 2005 15:34
Voci di corridoio danno l'ala americana appena tagliata dall'NBA, vicina alla Bipop. Non conosco il giocatore però e finchè nn lo vedo al Palazzetto nn ci credo!

Il sacrificato credo sarà T-Rob che fisicamente è un'incognita perenne.
Ma ora come ora rischia forse + Minard......
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