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Nba Live
00martedì 11 aprile 2006 18:53
Problemi a Portland e Seattle: in pericolo il basket del nordovest

05.04.2006. 14:21


Allen (a destra) in una recente apparizione al Rose Garden (foto oregonlive.com)
C’è aria di novità, nel basket del nordovest statunitense. Ma è un’aria pesante, che sembra preludere a importanti cambiamenti, tutt’altro che vantaggiosi, per lo meno per quelle che sono le premesse. Un’aria, insomma, tutt’altro che salubre per la palla a spicchi di Portland e Seattle, le due franchigie coinvolte nelle rispettive raffiche di problemi, che proveremo ad analizzare con semplicità ed imparzialità.
Le due città, collocate in due stati diversi (rispettivamente Oregon e Washington) ma vicine dal punto di vista geografico (meno di tre ore di auto attraverso l’Intestate 5), vivono una situazione non del tutto dissimile ed un rischio comune: quello di veder sparire il basket NBA dalla propria zona. Questo perché le rispettive proprietà e dirigenze, non senza la corresponsabilità delle istituzioni locali, con gli anni hanno creato situazioni disagevoli, diventate ora insostenibili.

A Portland, il problema è semplice quanto difficile da risolvere: Paul Allen, istrionico proprietario dei Trail Blazers, si è stancato di perdere denaro a causa di una squadra che non riesce ad ingranare e ad un mercato, quello di Portland, che non si è dimostrato all’altezza delle –sue- aspettative, con sponsor sostanzialmente assenti ed enti che non possono impegnarsi eccessivamente.
“Siamo stati informati che Paul Allen è stanco di perdere denaro, ma siamo già indietro nell’amministrazione delle manutenzioni basilari”, ha affermato il City Commissioner Sam Adams, che ha poi aggiunto: ”Inutile dire che è un momento veramente inopportuno per sollevare questa questione”. Sostanzialmente, e in questo caso la situazione assume un sapore molto “nostrano”, le istituzioni locali non possono certo permettersi di spendere e spandere per finanziare privati che operano solo indirettamente per il bene della città, controllando innanzitutto che le proprie tasche non siano vuote.


Vista aerea del Rose Garden...
L’ostacolo più difficilmente sormontabile riguarda il contratto d’affitto del Rose Garden, l’impianto di gioco che ospita i Blazers, controllato attualmente dal Portland Arena Management dopo il fallimento, avvenuto nel 2004, dell’Oregon Arena Corporation, che aveva affiancato Allen nel finanziamento dell’arena. L’unico accordo tra la città e la squadra prevede che Randolph e compagni disputino sul parquet del Rose Garden le partite interne fino al 2025; il city government riceve il 6% degli introiti derivanti dai biglietti e il ricavato di due zone di parcheggio nel Rose Quarter, mentre i ricavi delle luxury suites e dei posti a bordo campo finiscono nelle tasche del PAM per ripagare il debito originato alla creazione della struttura, privando in questo modo la franchigia dei proventi derivanti dai posti di lusso, caso più unico che raro nel panorama NBA.
Va detto, tuttavia, che l’opinione diffusa è che Allen si sia “tirato addosso” le sciagure con cui oggi è costretto a convivere: tanto per rendere l’idea, la Charter Communications, per cui il co-fondatore della Microsoft spese 7 miliardi di dollari nel 1998, secondo il Wall Street Journal ha perso 5,3 miliardi negli ultimi due anni. Ma non è tutto: il contratto d’affitto del Rose Garden, aspramente criticato da Allen, fu creato all’interno di precisi criteri fissati dal proprietario dalle camicie variopinte, che nel 2004 si prese inoltre la responsabilità di rinunciare alla proprietà del Rose Garden per non doversi sobbarcare anche l’altra metà (quella dell’Oregon Arena Corp.) degli interessi del debito acceso in occasione della costruzione dell’impianto.
In ogni caso, Allen ha previsto che, senza aiuti esterni, la franchigia è destinata a perdere 100 milioni nei prossimi tre anni, delineando, forse in modo eccessivamente pessimistico, un scenario tragico per la squadra dell’Oregon. Uno scenario che, se si dovesse effettivamente verificare, farebbe immediatamente “rizzare le antenne” a David Stern, commissioner della NBA, che non vuole certo vedere la lega che dirige (e che ha avuto il gran merito di far progredire enormemente negli ultimi vent’anni) sgretolarsi sotto i propri occhi a causa di investimenti insensati e gestioni scriteriate. A quel punto, Stern avrebbe ghiotta la possibilità di spingere per esaudire i desideri di San Diego, Anaheim o Oklahoma City (dal 2007 gli Hornets dovrebbero tornare a New Orleans), per non parlare del sogno proibito Las Vegas, città che non vedono l’ora di accogliere una franchigia della pallacanestro professionistica.
Quel che è certo è che, se non riceverà aiuti economici alla svelta, Allen non esiterà un attimo a vendere i Trail Blazers al miglior offerente, il quale, provenendo verosimilmente da una qualsiasi città degli Stati Uniti che non sia Portland, non avrà grossi patemi d’animo nel promuovere lo spostamento della franchigia, magari verso la propria città di provenienza. Questo pericolo si fa di giorno in giorno più credibile da quando la NBA, dopo essere accorsa in aiuto dei Blazers, ha fatto marcia indietro a causa della resistenza del PAM, che persiste nella sua riluttanza riguardo alla possibile cessione dell’arena malgrado le pressioni di Stern e C. per ”vendere la squadra e l’arena (valutati circa 300 milioni, ndr) ad uno o più possibili acquirenti che abbiamo identificato”. Un pericolo che il popolo del Rose Garden si augura di scongiurare al più presto.



...e della Key Arena
Come nel caso di Portland, anche a Seattle il contratto d’affitto dell’impianto che ospita i Supersonics, la Key Arena, rappresenta lo scoglio più imponente, tanto che il sopraccitato commissioner Stern lo ha definito “il meno competitivo della lega”. Per questo, anche nella città della pioggia ci si sta muovendo (il proprietario Howard Schulz ed il presidente Wally Walker su tutti) per favorire la costruzione di un nuovo impianto o, in alternativa, la ristrutturazione dell’attuale arena, molto indietro per gli standard NBA per logistica ed acustica.
La richiesta, che può sembrare, come per Allen a Portland, decisamente fuori luogo, appare invece sotto una luce diversa a Seattle, in virtù del fatto che uno sforzo del genere è appena stato compiuto, in gran parte con denaro pubblico, per i Mariners del baseball (Safeco Field) e per i Seahawks del football (Qwest Field). In sostanza, quindi, quella di Schulz è una pretesa di “par condicio” che, se da un lato può sembrare più giustificata di quella di Allen (non sarebbe giusto favorire così palesemente le altre due realtà sportive), dall’altro può essere vista esattamente nel modo opposto (la città ha già speso molto per gli altri due impianti, chiedere un ulteriore esborso potrebbe risultare eccessivo per le tasche del city council).


Stern con il Deputy Mayor Tim Ceis e Wally Walker
Trovandosi, quindi, in una situazione di stallo, che anche in questo caso potrebbe provocare gravi scompensi finanziari, sia Stern sia Schulz hanno mosso pesanti minacce alle autorità cittadine, il primo assicurando che la National Basketball Association non resterà a guardare, il secondo confessando di trovarsi costretto prendere in considerazione l’idea di spostare o cedere la franchigia, pur sapendo di dover fare i conti con una città che, forse anche per la presenza di Mariners e Seahawks, non è interamente schierata dalla parte dei gialloverdi. Chris Van Dyk, titolare della singolare associazione dei “Cittadini per cose più importanti” (only in America…), ha infatti affermato che i problemi finanziari dei Sonics sono da imputare più al loro monte salari multimilionario che all’affitto della Key Arena, rincarando la dose dicendosi sicuro che simili “telenovele” sono all’ordine del giorno in ogni città in cui vengano costruiti stadi professionistici. La Key Arena, secondo lui, non è altro che ”un potente simbolo di spreco e mancanza di un governo responsabile”. Parere sicuramente condivisibile, a maggior ragione pensando che dalle nostre parti si discute per la sostituzione di palazzetti ben più longevi, ma la NBA, la modernissima, organizzatissima NBA prevede giustamente alti standard di qualità. Chi decide di “ballare” (e quindi godere di tutti vantaggi che il basket Pro porta con sé) deve attenersi a tutte le direttive che escono dall’Olympic Tower, anche rischiando di alienarsi il supporto e la fiducia di una parte della popolazione.



Allen (Ray) con Randolph, Przybilla e Wilcox nell'ultimo incontro tra le due squadre
Indubbiamente è strano che entrambe le squadre siano, come detto in apertura di articolo, geograficamente appartenenti alla stessa area. Solo una coincidenza? E cos’hanno realmente in comune queste due città? Lo abbiamo chiesto a Steve Duin, columnist dell’Oregonian. ”Mi verrebbe da dire che effettivamente è solo una coincidenza che Blazers e Sonics sono entrambi nel nordovest. Portland e Seattle distano solamente 170 miglia, ma sono posti estremamente diversi. Portland, sotto molti aspetti, è una piccola città. Seattle è un centro importante”. Secondo Duin, tuttavia, c’è un elemento che contraddistingue l’intero nordovest americano. “La gente qui è leggermente diversa rispetto ad altre parti della nazione, più coinvolta nelle attività all’aria aperta, più incline ad allontanarsi dai confronti accesi. Qui non c’è la stessa passione che si respira da altre parti, ci sono troppe altre cose da fare. La gente preferisce partecipare piuttosto che fare da spettatore”.
Il vero collegamento tra le due vicende, però, ci è presto fornito: si tratta dello stesso Paul Allen, proprietario dei Blazers ma molto più attivo a Seattle, la sua città natale. ”Allen ha dato a Seattle innumerevoli cose: una finalista al Super Bowl (i Seahawks, ndr), l’Experimental Music Center, enormi quantità di sviluppo attorno a Lake Union, nel downtown. A Portland, d’altronde, Allen non ha fatto un bel niente. E’ stato acclamato per aver costruito il Rose Garden, ma ha deluso quando si è sottratto dai propri oneri finanziari”.

Concludendo, va in ogni caso considerato un ultimo elemento, già accennato in precedenza: mentre a Seattle i Sonics sono solamente uno dei tre rappresentanti degli sport professionistici americani (ci sono, come detto, i Mariners ed i Seahawks), per Portland dare l’addio al basket NBA significherebbe rinunciare all’unica franchigia professionistica presente, cosa che non farebbe piacere né agli sportivi dell’Oregon né alle autorità cittadine, per il lustro e soprattutto per l’introito finanziario che attrazioni di tale livello garantiscono. La parola, ora, spetta ai diretti interessati.



Andrea Rizzi
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