Sabatini

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Fabio Zingone
00lunedì 16 agosto 2004 09:14
Manca ormai meno di un mese alla conclusione del primo anno di Claudio Sabatini al timone della Virtus Bologna. Un periodo relativamente breve, ma sufficiente per sconvolgere la pallacanestro italiana come nessuno era stato capace in precedenza.
Ora, poco più di una settimana fa, lo stesso Sabatini ha preannunciato la sua imminente uscita dalla pallacanestro. Non solo delusione e amarezza per la sconfitta giudiziaria che ha condannato la Virtus ad un altro anno di Legadue alla base di questa decisione, ma anche la stuzzicante idea della Public Company, ovvero 4000 persone che decidano insieme il futuro di squadra e società.
Meglio chiarirlo subito, si tratta di una prospettiva irrealizzabile. L'azionariato popolare come qualsiasi altro tentativo di allargare la base di gestione di una società sportiva è una voce che ultimamente risuona spesso, ma mai, fino ad ora, è stata messa in pratica. Sabatini l'ha già proposta altre volte e ormai anche quest'ultima sparata si è persa tra le frequenti dichiarazioni ad effetto degli ultimi mesi.
"Lo sport è una tappa della mia vita. E' come una storia d'amore, all'inizio c'è una grandissima passione, poi però può passare. A me sta passando.
E ripeto, se rimanessi potrei diventare dannoso, perchè non sono abituato a stare zitto."
Zitto Sabatini non lo è mai stato. Ha tuonato fin dall'inizio, a ragione, contro una decisione, quella di escludere la Virtus dalla serie A, sbagliata e ingiusta. Ma non si è fermato e ha continuato, quasi ossessionato dal dover consegnare sempre qualche battuta alla stampa e, di riflesso, ai suoi tifosi.

L'impressione, ormai, è che Sabatini voglia confondere nelle sue esternazioni gli errori madornali che, come dirigente sportivo, ha commesso da quando è alla guida della Virtus. Sbagli soprattutto di natura tecnica come la decisione di rinunciare a Scariolo per puntare sullo staff di Castelmaggiore (una scommessa durata pochi mesi) o il colpevole ritardo nell'ingaggio di quel playmaker di cui i bianconeri avevano bisogno come il pane, situazione che, poi, lo sciagurato arrivo di Brunson ha finito addirittura per peggiorare.
Forse ha voluto nascondere le reali potenzialità economiche del suo progetto, ben lontane da quello che a volte vorrebbe far credere. Ha cercato uomini di prestigio a cui affidare la presidenza della società, ma con tutti non è riuscito a trovare l'accordo economico. Danilovic, Brunamonti e infine Peterson che ha prima incensato come l'uomo giusto al posto giusto, per poi essere costretto a fare marcia indietro, quando, una volta contattato, si è reso conto dell'impossibilità della trattativa con l'ex coach di Olimpia e Virtus.

Sabatini, è giusto ricordarlo, ha un merito fondamentale e indiscutibile: aver salvato una delle squadre più importanti del basket italiano. L'ha riportata in vita, lavorando anche 18 ore al giorno nel periodo più duro, pagando debiti non contratti da lui e risollevando l'entusiasmo di una piazza rassegnata e ingrigita. Poi ha voluto andare oltre. E non sempre in maniera chiara. Voleva la serie A a tutti i costi; prima sul campo poi, sconfitto, tentando di acquisirla col denaro. “Abbiamo trattato i diritti di Milano, ma sono contento che si siano salvati perché il basket italiano ha bisogno di una piazza come Milano”. E anche la vicenda dei 100.000 euro pagati a Messina (a stagione in corso) per cercare di salvare società e diritto sportivo certo non rientra all'interno di nessuna logica di etica sportiva.
Di conseguenza, anche la battaglia giudiziaria in nome della legalità e della trasparenza dei bilanci (un fine certamente nobile, inseguito anche con gesti plateali come la pubblicazione dei monti stipendi delle squadre di serie A) ha finito per assumere una connotazione arrogante per il modo in cui è stata perseguita, attirandosi gli odi di tre quarti di Italia cestistica. Non è un caso che, come ha ricordato lo stesso Sabatini, la Virtus si ritrovi a dover far fronte a richieste di ingaggi raddoppiati non appena tratta un giocatore. Una pratica inaugurata dalla vecchia dirigenza di Castelmaggiore che lasciò al suo nuovo presidente i contratti biennali di Ticchi, Teglia e Santucci, quando per tradizione il Progesso firmava solo contratti annuali.

Più silenzio avrebbe dato sicuramente più risultati. Sul campo e fuori. Dunque, farsi da parte, potrebbe non essere una soluzione sbagliata. Concentrare l'attenzione dell'ambiente sulla squadra e non sul suo presidente, ripartire da due uomini che, per la categoria, sono assolutamente fuoriclasse come Giordano Consolini e Massimo Faraoni, scommettere su un gruppo di giocatori sicuramente all'altezza di un campionato di vertice, alimentare quell'entusiasmo che la tifoseria bianconera non riesce a contenere di fronte ad un progetto vincente e appassionante. Lasciare la scena e scendere dal palcoscenico, concentrandosi sugli aspetti operativi che alla sua carica competono e nei quali sicuramente farebbe valere le sue maggiori competenze (ricerca di sponsor, marketing, organizzazione societaria). Contribuire al momento favorevole del movimento senza alimentare polemiche che si sono poi rivelate inutili e sterili, aiutare e stimolare il mondo della pallacanestro proprio quando pare stia svoltando in positivo e facendo quel salto di qualità da tempo invocato.
Questo dovrebbe fare, ora, Sabatini.
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