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E' un appello per non morire, quello del presidente Claudio Ritorni alla città di Livorno. Una città dove eravamo fieri di mangiare pane e basket. «Già — commenta Ritorni —, ma questo appartiene al passato remoto. Il nostro passato vede l’avvicendamento tra l’amministrazione comunale e alcuni imprenditori, che chiamo volenterosi, che si sono dannati l’anima per rimettere in moto il movimento cittadino, senza trovar alcuna risposta da parte dell’imprenditoria locale. Ora la situazione è presto detta, siamo l’ultima società in termini di budget, non abbiamo ancora cambiato niente del nostro roster mentre gli altri pretendenti alla salvezza hanno perpetrato vere e proprie rivoluzioni. Se questa città è così insensibile dove possiamo sperare di andare? E non illudiamoci, il fenomeno non è legato solo al basket, ma potrebbe estendersi pure al calcio se il presidente Spinelli un giorno malaugurato dovesse mollare. Ritornando al basket tenete presente che abbiamo un bassissimo introito dagli abbonamenti, poco o niente dai media e l’aiuto di qualche sporadico imprenditore locale. Dobbiamo a questo punto porci una domanda: vogliamo o no continuare ad avere il basket a Livorno? Un altro campionato come quello attuale non avrebbe senso. Tenete presente che pure a livello personale ci dobbiamo sobbarcare, noi dirigenti, tante seccature senza alcun compenso. In cambio di un bel niente». Ma di quanto avrebbe bisogno il basket Livorno per avere una giusta collocazione in serie A? «Generalmente 2,5, 3 milioni di euro». Perché sulle maglie di Livorno non leggiamo Ipercoop, Coop o Porta a Mare? «Vede, alcune aziende pensano di essere realtà locali quando a loro più conviene, e realtà nazionali quando più conviene. Noi abbiamo dato mandato a 2 agenti per ricercare sponsors: uno a livello locale, uno a livello nazionale. Zero risultati. Apprezzo gli sforzi dell’amministrazione comunale, ma purtroppo i risultati sono lontani. E noi non possiamo aspettare. Io per mia indole ci credo ancora, ma non dovete lasciarci soli. Tenete presente una cosa : il mondo luccicante di Milano, Treviso e Siena non è poi così dorato. Non hanno alcuna programmazione alla spalle, ricordatevelo. Figuriamoci le società più piccole. Il basket italiano è un po’ come il Titanic, con i passeggeri di prima classe che mentre la nave affonda ballano i valzer nei grandi saloni dorati. Noi siamo in terza classe, quindi — conclude Ritorni — prima esposti all’acqua incalzante, ma quest’ultima, prima o poi, salirà pure ai ponti più alti».
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